genitoricoronavirus

Essere genitori al tempo del Coronovirus

Non avremmo mai immaginato di trovarci a dover gestire una situazione che, fino ad oggi, avevamo visto solo nei film dagli scenari distopici. Futuri possibili certo, ma sentiti come altamente improbabili e comunque collocati in un tempo lontano lontano,  come il tempo delle fiabe.

Proprio per questo motivo, quello che sta accadendo in questi giorni, in modo improvviso e traumatico, ci ha trovati impreparati. Subito non ci abbiamo creduto. Tutti. Compresi molti medici o scienziati. “E’ un’influenza come un’altra”, “Tutte le influenze fanno ogni anno tanti morti”, ecc.

E invece questo nemico invisibile e potente esiste, è fin troppo reale.

Un nemico che ci mette alla prova rispetto alla nostra capacità di far fronte alle situazioni che sono fuori dal nostro controllo. Qualunque sia la condizione in cui ci troviamo in questi giorni, siamo comunque sempre soggetti a un piccolo o grande trauma. Chi è ammalato o ha persone vicine colpite dal virus, lo vive in modo diretto e potente. Ma anche “solo” l’esposizione continua a notizie catastrofiche, il vivere un isolamento forzato o convivere con la paura di poter essere il prossimo o di essere stato la causa della malattia di qualcuno, sono comunque esperienze traumatiche, .

In tutti i casi dobbiamo fronteggiare emozioni e pensieri negativi: l’impotenza, l’insicurezza, il senso di responsabilità o il senso di colpa, la sensazione forte di non poter fare nulla.

Riconoscere a sé stessi di essere in una situazione, comunque, sconvolgente è importante per due motivi fondamentali.

Prima di tutto solo ammettendo che stiamo vivendo un’esperienza scioccante possiamo spiegarci come mai ciò che prima era facile e naturale, sia diventato faticoso e complicato. Cambia il senso del tempo e di auto-efficienza: siamo meno concentrati, più stanchi, facciamo fatica a dormire, possiamo avere problemi di memoria e di attenzione. Per poter comprendere che cosa ci accade possiamo pensare alla nostra mente come un computer la cui memoria ha il 90% di spazio occupato (da ansia, preoccupazione, ecc) mentre solo il 10% viene utilizzato per fare il resto delle cose (lavoro, casa, figli, ecc).

È fondamentale comprendere che tutto questo è normale, che non siamo persone deboli o incapaci, o che non abbiamo perso improvvisamente tutte le nostre competenze, ma piuttosto stiamo vivendo una situazione che cambia le priorità nella nostra mente. Serve a poco arrabbiarsi o fare sforzi immani per tornare all’efficienza di sempre, piuttosto ci aiuta riconoscercelo e, anche un po’, legittimarcelo. Inoltre accogliere questa condizione ci consente di comprendere che se ascoltiamo questo cambio di priorità, da un lato saremo in grado di perdonarci un pochino di più, dall’altro daremo spazio a ciò che ci fa stare un po’ meglio senza sentirci in colpa o sbagliati.

 

Il secondo motivo per cui è importante riconoscere che siamo in uno stato particolare riguarda i nostri bambini e ragazzi.

Vero è che, a loro, il Coronavirus presta un trattamento di riguardo. Questo, però, non toglie che anche i nostri figli stanno vivendo questa situazione irreale, con le loro emozioni e paure. In particolare, ciò che fa la differenza rispetto ad altre circostanze, è il fatto che in questo caso sono i grandi a non avere le risposte, a sentirsi insicuri e ad avere paura.

Allora, che cosa possiamo fare?

In che modo, allora, gli adulti possono essere adulti nel tempo del corona virus?

 

DIRE SEMPRE LA VERITA’

Prima di tutto i bambini hanno bisogno di sentire che i grandi li vedono, sanno interpretare i loro sentimenti e vissuti e sono in grado di assumere comunque un ruolo rassicurante.

Di certo non serve né a noi né a loro farci prendere dal panico e, ancora meno, fare finta di niente. Come ben sappiamo i bambini sono ben più raffinati di noi nel sentire al di là delle parole. Spesso nelle situazioni come la separazione dei genitori, o l’arrivo di un fratellino, i bambini hanno già capito che qualcosa bolle in pentola ancora prima che i genitori decidano di rivelare loro che cosa sta accadendo. Magari non sanno esattamente di cosa si tratta, ma hanno colto qualcosa, si sono preparati e messi in all’erta. Noi psicologi diciamo che, proprio per questo, è molto importante parlare loro, per evitare che per troppo tempo stiano in questa situazione di allarme senza nome.

 Quindi, essere genitori rassicuranti in un tempo nel quale anche “andrà tutto bene” può suonare come una bugia, significa prima di tutto essere capaci di dire ai bambini la verità.

E’ fondamentale che i genitori siano in grado di raccontare ai figli, prima di tutto, che cos’è questo coronavirus. Usando parole semplici che i bambini possono riconoscere, in modo realistico ma senza spaventarli.

Per esempio si può spiegare che questo piccolo mostro è molto forte e che diventa ancora più forte quando se la prende con le persone grandi, come i nonni. Spiegare loro che tanti dottori e scienziati nel mondo stanno cercando di capire come sconfiggerlo, e che i dottori sono bravissimi perché sono tutti impegnati a cercare di curare le persone malate. Nel frattempo però, siccome è troppo forte per essere sfidato, dobbiamo essere molto bravi a difenderci, non farci scovare da lui. Un’altra cosa che dobbiamo sapere è che spesso i bambini prendono con sé il virus, che a loro non fa nulla, ma involontariamente possono passarlo ai grandi. Senza nemmeno accorgersene! Quindi dobbiamo essere dei super-eroi che difendono i nonni in un modo molto speciale…stando loro lontano! Poi ci sono anche altre cose che possiamo fare: lavarci le mani spesso, stare lontano e non abbracciare gli amici (anche se ne avremmo tanta voglia!) e ascoltare sempre quello che ti dicono mamma e papà !

Si può spiegare al bambino che comunque ci sono tanti modi per abbracciare, per esempio guardandoti forte forte negli occhi a distanza, magari abbracciandoti in modo da sentire quella bella sensazione nel corpo, come se lo stesse facendo la persona che hai davanti o che stai vedendo su uno schermo.

Oppure, si può tornare a usare con cura le parole che diventano corpo: ti voglio bene, mi manchi, ti voglio raccontare delle cose belle, ecc.

Sempre per quello che riguarda la nostra capacità di essere connessi con il bisogno di verità dei nostri figli, è molto importante anche comprendere che, se noi teniamo sempre accesa la televisione o la radio, ascoltando ossessivamente gli aggiornamenti sul coronavirus, oppure leggiamo di continuo messaggi che arrivano dalle varie chat con allegati di ogni tipo, i nostri figli sono spettatori.

Come abbiamo già evidenziato, però, non è funzionale nemmeno attivare un totale schermo protettivo dal mondo, in quanto anche questa condizione contribuisce a provocare un senso di mistero e paura.

Oltre al fatto che non fa bene nemmeno a noi rimanere costantemente connessi o isolati, anche per i nostri bambini è importante scegliere quando e quali immagini o notizie mostrare loro al fine non di spaventarli, ma fargli piuttosto vedere che il mondo è unito alla ricerca di una soluzione o che questa cosa ha provocato un senso di solidarietà e comunità importantissimi.

PARLARE DELLE EMOZIONI

In secondo luogo gli adulti sono adulti, quando sono in grado di vedere i propri figli nelle loro preoccupazioni, pensieri, dubbi e domande. Hanno bisogno di sentire legittimati i loro sentimenti: la rabbia, la tristezza, la solitudine, la nostalgia, la paura. Se i sentimenti ci sono, non parlarne non serve per farli andare via. Piuttosto cresceranno dentro di loro inascoltati, attivando di conseguenza più facilmente quei meccanismi che abbiamo anche noi grandi: pensieri intrusivi,

evitamento, stato di allerta continuo, senso di abbandono.

Ondate di emozioni da cui siamo e possono essere anche loro travolti.

I bambini hanno bisogno di sapere che lo sappiamo e che è normale sentirsi così!

Inoltre hanno bisogno di qualcuno che abbia il coraggio di nominarli, senza paura:

“Sai che ho pensato che ieri hai pianto tanto perché in questo periodo tutto è cambiato nella tua vita ed è davvero una cosa faticosa. Lo è anche per me!”, “Lo so che ti mancano tanto i nonni, è proprio difficile accettare di non poterli abbracciare anche se tu stai bene e loro stanno bene”. “Stasera è un po’ più dura addormentarsi lo so…succede così quando siamo preoccupati o un pochino spaventati! , “Immagino sia difficile anche per te sapere che il nonno è in ospedale e non possiamo fare nulla…forse ti fa sentire anche un po’ di rabbia!”

Un errore che spesso commettiamo è quello di pensare che se noi diciamo al bambino che ha paura o è triste, gli induciamo questo stato emotivo, che, magari, prima non aveva. Non c’è errore più grande. Se diciamo a nostro figlio che capiamo possa sentirsi in un certo modo e lui, magari, dice di sì mettendosi a piangere, non abbiamo provocato questo sentimento, ma piuttosto abbiamo legittimato la possibilità di tirarlo fuori. Il mettere in parole, narrare, ha una funzione terapeutica fondamentale, aiuta nell’elaborazione e nel fare ordine, trasforma ciò che possiamo avere dentro in modo caotico e disturbante in una storia da condividere.

OFFRIRE UNO SPAZIO SICURO

Un genitore rassicurante, poi, cerca di offrire al bambino uno spazio sicuro, non solo in termini di protezione dal virus, ma anche dal punto di vista dei suoi bisogni.

Un aspetto importante per tutti specialmente nel periodo in cui dobbiamo stare tante ore chiusI in casa, è preservare le routine e quello che ci dà un senso di normalità. Per i bambini questa cosa e ancora più importante. Gli orari dei pasti, del sonno, un po’ di attività fisica.

Fare un programma per la giornata aiuta a sentire meno l’ansia, perché produce in noi un senso di auto -efficienza e consente anche di non avere troppi tempi vuoti nei quali aumentano i pensieri. Per i bambini può essere molto importante dividere la giornata in momenti dedicati:  scuola, studio, gioco, magari aiutandoli con idee e temi del giorno. Talvolta ci arrabbiamo con loro perché li vediamo cadere nella noia e guardare troppi schermi o litigare, stuzzicandosi l’uno con l’altro. In questi casi può essere di grande aiuto dare loro il via, attraverso un’idea creativa o un piccolo incarico o compito domestico.  Anche condividere insieme un’attività come cucinare o ri-organizzare uno spazio, può diventare un momento piacevole o addirittura un divertimento.

È importante non essere troppo condizionati dall’aspettativa che, siccome sono bambini, siano capaci di organizzarsi da soli nel gioco. I bambini sono sicuramente molto creativi, ma in una situazione come questa anche la loro capacità di prendere l’iniziativa può essere condizionata dall’ansia e dal senso di disorientamento. Il nostro compito può essere semplicemente quello di dare uno stimolo, una direzione, in particolare nel caso gli adulti debbano lavorare. Il tele-working, infatti, è molto comodo, ma i bambini non sono abituati a far da soli in particolare se la mamme papà sono in casa.

Un altro aspetto importante riguarda il rapporto con la scuola. In questi giorni ho ricevuto alcune chiamate di genitori che mi chiedevano aiuto, in quanto i figli si rifiutavano di seguire le lezioni via schermo. Fra questi quelli con maggiori difficoltà sono i ragazzi con problemi di concentrazione e con una tendenza all’ansia. Per chi ha già queste difficoltà (e sono tanti!) la mancanza di un rapporto vivo e concreto, fatto di gesti corporei e di sguardi, provoca una sensazione forte di disorientamento e mancanza di contenimento. In altre circostanze, quando faccio delle consulenze agli insegnanti per questi bambini, dico loro di cercare spesso il loro sguardo, di fare piccoli richiami d’attenzione corporei, fondamentali per dare quel senso di limite che fanno fatica a trovare internamente. In questo caso naturalmente tutto ciò è molto difficile. In un mondo ideale, sarebbe utile che gli insegnanti cercassero con questi studenti di costruire momenti individualizzati, oppure provare a sostituire questa attenzione attraverso messaggi personalizzati. Poiché anche i poveri insegnanti si trovano in una situazione complicatissima, di nuovo può essere il genitore a porsi in una posizione comprensiva, cercando magari insieme al bambino delle strategie per trovare un modo per stare attenti o, viceversa, per gestire il fatto di non esserlo stati. Prima di tutto, però, di nuovo, è importante capire che per molti bambini quello che sta accadendo nel rapporto con la scuola richiede un livello di maturità e responsabilità non così naturali. O meglio…è del tutto normale che i bambini facciano fatica! Dunque di nuovo l’adulto deve lavorare sulle sue aspettative, che, se troppo alte, rischiano di chiudere la comunicazione in un momento nel quale essere in relazione è in assoluto la cosa più importante.

Due parole dobbiamo spenderle anche per gli adolescenti. Sono sicuramente le figure più a rischio di questa situazione loro, infatti, fragili e spavaldi, possono vivere questo momento in un modo totalmente incosciente. Il fatto poi di non essere quasi sicuramente colpiti in modo sintomatico dalla malattia, aumenta il loro senso di onnipotenza, portandoli a volte da affrontare la normale paura con gesti che sfidano o abbassando notevolmente i livelli di empatia. Questo potrebbe turbarci, farci arrabbiare, perché non riusciamo a capire come mai, se sono davvero spaventati o se hanno capito la situazione, non stiano mettendo in atto dei comportamenti che lo dimostrano. Dobbiamo pensare che un adolescente vive nel qui ed ora, per questo motivo è molto più soggetto a mettere in atto comportamenti a rischio come mettersi a fumare, bere, consumare sostanze, oppure mettersi in pericolo sulla strada o facendo sfide assurde. Anche il Corona diventa un nemico da sfidare, diventa un modo per dimostrare a sé stessi e al mondo che non hanno paura di niente e che possono diventare grandi… e che, quindi, non hanno bisogno di noi!

Parlando con un giovane adolescente, mi ha detto con serenità: ”Be sai io non sono tanto preoccupato, perché comunque lo prendono solo i vecchi e io so che non mi ammalo”. Nel momento in cui gli ho fatto presente che questi vecchi potevano essere i suoi nonni, mi ha guardato con aria di sfida e ha detto…”vabbè hanno già vissuto tanto…”. Fortunatamente non tutti i ragazzi sono così, però non dobbiamo stupirci o scandalizzarci se un adolescente risponde in questo modo. Il nostro compito non è quello di farli vergognare di quello che pensano o essere delusi, il nostro compito è quello di capire che queste risposte sono il frutto della paura di scoprire che davvero l’uomo è così vulnerabile e che se succedesse sul serio qualcosa ai loro nonni questa cosa sarebbe terribile e dolorosa. Gli adolescenti possono diventare le persone più generose e attente agli altri, se sentono che questa è un’ azione da grandi e che noi crediamo che loro siano capaci di sentire e vedere certe cose. Non perché glielo diciamo noi, ma perché prendiamo sul serio le loro capacità e la loro forza.

Provare a trovare un modo per sollecitare in loro la loro parte eroica e sognatrice.

Dall’altro lato hanno bisogno di sapere che anche noi adulti abbiamo paura o ci sentiamo insicuri, e che questo non ci rende meno grandi. La stessa cosa vale per loro, non hanno bisogno di essere senza cuore, per dimostrare che non sono più bambini. Naturalmente conta molto la storia di ciascuno e le relazioni vissute fino a quel momento. Non dobbiamo aspettarci che il Corona faccia proprio dei miracoli, trasformando una situazione difficile, in una rosea. Di certo però ci da un’opportunità. Da la possibilità ai ragazzi di diventare un po’ più grandi, ma anche a noi grandi di far vedere loro che crediamo in loro e che sappiamo che sono capaci di grandi gesti.

RISCOPRIRE IL VALORE EDUCATIVO DEL PRENDERSI CURA DEGLI ALTRI

 

Essere un genitore al tempo del Coronavirus significa anche riscoprire il valore educativo del prendersi cura degli altri.

La famiglia (nella sua accezione più ampia e inclusiva) dovrebbe essere, per eccellenza, il luogo delle relazioni, di corpi che s’incontrano in modo profondo, luogo della comunicazione e dell’accoglienza. Spesso, invece, è un luogo in cui si sta distratti, presi da qualcosa che sta sempre altrove (tecnologie, iper-attivismo, ecc.) in cui ci si guarda senza ascoltarsi, in cui non si riescono più a leggere i bisogni profondi. Il fare diviene un agire azioni convulse che spesso perdono il loro significato originario: si sta a tavola con il telefono in mano, lo studio, il lavoro e lo sport vengono vissuti quasi esclusivamente nella loro dimensione competitiva o hanno il fine di realizzare sogni più dei grandi che dei piccoli, perdendo il piacere dello stare insieme, del non far nulla (pieno però di relazioni o creatività) o dell’ apprendere. I genitori ci sono, entrano nelle vite dei figli, ma quello che sembra essere prevalente è un porre l’accento sull’IO piuttosto che sul NOI!

Ecco credo che quello che stiamo vivendo oggi sia anche una grandissima opportunità, prima di tutto per gli adulti di riconoscere che nella vita non sono importanti solo la realizzazione e il successo proprio e dei figli. Piuttosto, ciò che davvero ci rende umani e che ci salva è la nostra capacità di vedere l’altro e prenderci cura di lui. Prendersi cura gli uni degli altri, in una comunità, non solo della mia famiglia, ma anche della famiglia degli altri è un modo per soddisfare a un bisogno fondamentale da cui dipende la “salvezza” della natura umana.

Dunque non dobbiamo avere paura ad alzare lo sguardo, noi adulti prima di tutto.

I bambini ci guardano, per questo non è solo importante dire loro quello che è giusto fare, o fargli vedere le notizie sul medico eroe o spaventarli con l’idea che i nonni possono ammalarsi. Ciò che i bambini vedono sono i nostri atteggiamenti, come noi viviamo e sentiamo ciò che sta accadendo, quanto noi rispettiamo con cura le regole date o siamo preoccupati anche per chi non conosciamo o orgogliosi dei nostri dottori eroi. Guardano se ci preoccupiamo per la persona anziana che vive nel nostro condominio e che, forse, non ha nessuno che le porta la spesa. Sentiranno la nostra empatia per chi è solo o malato e vedranno quanto siamo in grado di sostare con il dolore degli altri. Ci osserveranno quando ci vedranno stare vicini a un amico che ha perso qualcuno oppure, nel caso in cui qualche evento drammatico abbia colpito proprio la nostra famiglia, potranno partecipare e condividere tutto quello che c’è da vivere e condividere, senza paura.

Osservano anche la nostra capacità di farci aiutare, di riconoscere la nostra e altrui vulnerabilità.

E’ quello che classicamente chiamiamo “dare il buon esempio”. Quella che i nostri anziani, quelli che questo virus si sta portando via, chiamano l’educazione silenziosa degli atti e degli atteggiamenti.

Ecco, credo che questo momento eccezionale, non solo ci stia dando l’incredibile e unica possibilità di ritrovare dentro alle nostre famiglie la dimensione della relazione, della comunicazione e della cura, ma anche l’occasione di ri-trovare che ciò che davvero è importante non sono IO, ma siamo NOI.