ADOZIONE: UNA NASCITA… UNA STORIA
Negli ultimi anni le adozioni, sia nazionali che internazionali sono aumentate in modo esponenziale. Con esse le conoscenze di chi lavora in questo ambito. Se in passato la domanda principale nelle adozioni era: “E’ opportuno dire al bambino che è adottato ? “Oggi questa domanda non è più legittima, in quanto è oramai riconosciuta l’importanza di parlare ai bambini della propria storia. Non ci si domanda dunque più se dire dell’adozione, quanto piuttosto quando e, ancora più importante, come dirlo ai bambini.
Il termine “rivelazione” utilizzato molto in passato, oggi potrebbe sembrare inadeguato. In realtà non è così, in quanto sebbene la famiglia adottiva dovrebbe crescere il proprio bambino considerando la sua storia non come un segreto da nascondere, ma come una realtà che fa parte della sua vita, indubbiamente vi sono nella crescita del bambino momenti in cui egli prende maggiore coscienza del significato della propria storia. Nel momento in cui, per esempio, ogni bambino si pone delle domande rispetto alla propria nascita, il figlio adottivo si renderà conto che nel suo caso questa esperienza per lui è avvenuta altrove…in un’altra pancia. Questo aprirà delle domande importanti, sul perché di tutto questo, sul senso della genitorialità e sulle storie sia della sua famiglia biologica che quella adottiva.
La famiglia che decide di adottare un bambino, oggi, arriva a concretizzare questo “sogno” dopo un lungo e complesso percorso. Spesso la coppia ha desiderato a lungo un figlio “fatto in casa”, per poi successivamente scoprire dentro di sé il desiderio un bambino che pur non generato da loro, è pronto a divenire “figlio”. L’adozione dovrebbe essere l’incontro di due desideri, ma non dobbiamo e non possiamo negare che è anche l‘incontro di due bisogni. Per questo motivo non sempre ciò che le famiglie adottive sanno, imparano nei corsi pre-adozione, nei quali si parla con loro dell’importanza della rivelazione, risulta essere così facile da mettere in pratica. Spesso i genitori sono preoccupati di creare un dolore inutile nel figlio, che sarebbe più sereno “se non sapesse”, “per potersi sentire come tutti gli altri”.
In realtà molto spesso dietro a questa difficoltà ci sta non solo un “non voglio farlo soffrire”, ma anche un “non voglio soffrire”… Parlare al bambino di un’altra pancia, di altri genitori, di qualcuno che, purtroppo, lo ha lasciato è molto difficile, perché significa anche risvegliare le proprie ferite e i propri dolori… Spesso le famiglie dicono di desiderare finalmente un po’ di tranquillità…dopo tanta fatica e tanto dolore.Ma il segreto non può che offrire una tranquillità apparente e temporanea…prima di tutto perché esso si esprime poi inevitabilmente nella relazione con il bambino, ma anche perché ognuno di questi piccoli ha scritto dentro di se, più o meno consapevolmente la propria storia. Il negargliela, può apparire la scelta migliore nel qui ed ora, ma nel futuro si ritorcerà di certo contro la famiglia, e una volta scoperta la verità nulla sarà più come prima. I ragazzi a cui è capitato di scoprire da grandi di essere stati adottati, nella maggior parte dei casi, raccontano di una immensa solitudine e un senso di abbandono non potendosi più fidare di chi aveva dichiarato di amarli tenendo per se una verità tanto importante… Dunque non se dire, ma piuttosto COME e QUANDO….
In realtà la risposta è molto semplice… Il bambino adottivo dovrebbe infatti crescere nella consapevolezza della sua storia… questo non significa che ogni giorno i genitori devono “perseguitarlo” con la verità…quanto piuttosto dovrebbe divenire qualcosa di naturale, come è naturale raccontare ad un bambino tramite le parole, ma anche solo i gesti e la relazione, della sua nascita, della sua storia, di come è stato pensato prima di arrivare e di come è stato accolto… Naturalmente certi passaggi, certi particolari arrivano con gradualità, quando un bambino può capire…dunque la rivelazione è uno vero e proprio stile di relazione con il proprio figlio. Tecnicamente si parla di “verità narrabile”.
Ad un bambino di un anno si diranno cose ben differenti da quelle che si dicono ad uno di 6 anni, o di 12, ma questo non significa che la verità non sia sempre la stessa. Ciò che si modificherà nel tempo saranno da un lato il linguaggio e la complessità da parte dell’adulto, dall’altro le domande da parte del figlio. Un bambino di un anno avrà semplicemente bisogno di sentire che la sua mamma e il suo papà non fanno “finta” di averlo fatto, dentro di sé si sono già raccontati la storia, e magari nel fare il bagnetto o nel cambiarlo gliela raccontano, non badando tanto ad essere compresi, quanto a “sentire con”.
Quando un bambino ha 6 anni ed inizia a chiedere della pancia, a comprendere qualcosa sulla sessualità, sarà importante aiutarlo a vedere che anche lui ha un ombelico e che da quel buchino la sua mamma di pancia lo ha nutrito…Infine in adolescenza quando un ragazzo adottato chiederà di capire a chi somiglia, chi è veramente, potrebbe bastare uno specchio davanti al quale osservare, forse, delle parti di quei genitori mai visti o dimenticati, ma che hanno lasciato inevitabilmente il segno del sangue comune…
Insomma tante rivelazioni, non solo una..
Ultime due considerazioni che ritengo possano essere molto importanti.
Oggi la maggior parte delle adozioni sono di bambini grandicelli e, spesso, differenti dal punto di vista somatico. Questo potrebbe far pensare che la rivelazione in questi casi non è necessaria, perché il bambino già sa, ricorda…
Questo non è assolutamente vero. I bambini adottati hanno bisogno di ricostruire dentro di se una storia, ed hanno bisogno dell’aiuto di chi è vicino a loro e li ama. Spesso chiedono ai genitori in modo più o meno esplicito di ricordare al posto loro, oppure dicono di avere dimenticano e negano quanto avvenuto. In questi casi, come in tanti altri, i bambini hanno la necessità di sentire che i loro genitori non hanno paura ad affrontare la loro storia, sono in grado di aiutarli a tenere in mente e a dare significati. Inoltre non esiste solo la storia prima, ma anche quella della famiglia adottiva che dovrà integrarsi con quella portata dal figlio. L’adozione è l’incontro di due storie… La seconda considerazione riguarda un frequente malinteso riguardo la “rivelazione”. Spesso i genitori dicono di avere da sempre parlato con i loro figli. In effetti hanno detto loro quanto li hanno desiderati, hanno raccontato del primo incontro.. ma quello che viene tralasciato è il prima…
Di fatto il bambino adottato ha la necessità di ricostruirsi un prima e un dopo…dunque, anche quando della storia si sa poco, è importante parlare al bambino di ciò che si sa (sempre tenendo conto della “verità narrabile”), o insieme con lui provare a costruire una storia possibile, non solo una cronaca dei fatti, ma anche soffermandosi sui perché…
Non è facile, ma è necessario…
Quello che spesso dico ai genitori è di provare a raccontarsi una storia…che non significa inventarsi qualcosa, ma piuttosto significa andare a fondo della propria natura umana, in cui è possibile trovare i perché anche dell’abbandono…Questo non significa assolutamente dover esprimere un giudizio su chi c’è stato prima, ma aiutare il proprio figlio a trovare un senso alla propria vita… Sebbene oggi esistano molti libri che parlano approfonditamente di queste tematiche, rimane ancora molto difficile, per i genitori adottivi, affrontare il racconto delle origini con i propri figli…Questo perché parlare della loro storia significa andare a toccare, come spiegavo anche sopra, ferite dolorose non solo per i piccoli, ma anche per i grandi. Per questo, è importante essere in grado di riconoscere la difficoltà, fermarsi a riflettere e chiedere aiuto se necessario non solo a tecnici, ma anche ad altre famiglie.