Scende la notte fitta di stelle dormono piatti, bicchieri e scodelle.
Regna il silenzio nella cucina
riposa il cucchiaio con la forchettina.
Anche l’imbuto s’è addormentato
e il vasetto di buon cioccolato.
Dondola il mestolo appeso a un chiodo tace la pentola piena di brodo.
Caraffe, bricchi, tazzine, padelle fanno la nanna sotto le stelle.
E io?
– Mamma, non riesco a dormire!
– Cosa c’è? Non sei stanco? Dai mettiti buono e pensa a cose belle, vedrai che il sonno a poco a poco arriva.
– Mamma non riesco a dormire!
– Neanch’io, i pensieri non mi fanno prendere sonno, ci facciamo compagnia?
Proviamo a ridiventare un bambino piccolo, a sentirci persi perché papà e mamma sono preoccupati, anche gli altri sembrano preoccupati e si comportano in modo strano: lavati le mani! Non si può uscire! Non puoi andare dai nonni! Nessun amico può venire a trovarci. Fuori non si sentono più rumori, non ci sono auto, in cielo nessun aereo, solo qualche elicottero giallo e il suono delle sirene di un’ambulanza che corre verso l’ospedale.
Che sta succedendo? A scuola non si va più, non ho più i miei compagni, le mie maestre, ai giochi nel parco non si va più, nemmeno a fare un po’ di sport. In TV ogni giorno ci dicono oggi quante persone sono morte.
Ora proviamo ad andare a letto senza sentirci stanchi al punto giusto, e dopo aver sentito raccontare per tutto il giorno sempre la stessa storia. Chiamiamo la mamma: mamma non riesco a dormire!
Quale delle due risposte precedenti vorremmo sentirci dire?
Giulia, 2 anni, ho sempre avuto difficoltà a prendere sonno; al momento di coricarmi ero sempre tesa, sudavo, nel lettino era una continua lotta con le coperte, mordevo il ciuccio del biberon e guardavo mia mamma; mi sembrava di combattere con un esercito di insetti dispettosi.
Poi con l’aiuto dei suggerimenti del pediatra e qualche goccia di melatonina ho cominciato a stare un po’ meglio, a cambiare, quando una sera vado da mamma e le dico: mamma ho sonno. Mi accompagna, sta lì con me per un po’ finchè il mio respiro si calma, gli occhi si chiudono e i sogni mi portano lontano.
Stavo bene, mamma e papà erano contenti, anche loro adesso dormivano tranquilli.
Ecco anche quest’ anno è arrivato il Carnevale, pronti per la mascherata!
Ma che strano tutti portano la maschera sulla bocca invece che sugli occhi; nessuno si avvicina, i negozi dei dolciumi sono chiusi e nessuno lancia coriandoli o soffia nelle trombette stonate. Quando papà esce per andare a lavorare la mamma le dice stà attento, quando torna: lavati le mani, hai toccato qualcuno? Ogni tanto mi misurano la febbre, ma io sto bene, cosa avete tutti quanti?
Sono di nuovo preoccupati; come faccio a dormire tranquilla, li sento che parlano ma non riesco a capire cosa dicono e cosa sta succedendo, non voglio più dormire! Devo stare sveglia, attenta, e convincerli a spiegarmi perché non posso più andare a giocare sull’altalena al parco o sullo scivolo.
Non possiamo più vivere questi giorni né gli altri che verranno come eravamo abituati a farlo prima, di fretta, disattenti, nervosi e insofferenti. Ce lo chiedono disperati i nostri figli. Sono rimasti veramente in pochi coloro che hanno già vissuto momenti simili, quando il mondo era in guerra; oggi dobbiamo combattere con un nemico che non veste un’altra divisa o sventola un’altra bandiera, ed è un nemico che ci colpisce da dentro con la febbre e la polmonite per alcuni, con la paura per tutti gli altri.
Sappiamo cosa raccontare ai nostri figli? Come scegliere una strada invece che un’altra? E soprattutto perché scegliere quella strada e non l’altra? Se lo aspettano, vogliono che siamo noi a farli crescere, a guidarli, a confortarli e a correggerli.
Non lasciamo più che siano gli altri a farlo gli altri che sono diversi dai genitori, che non sono i genitori e di cui non sempre puoi fidarti.
E se proprio ci sarà bisogno di un aiuto esterno per noi e i nostri figli, per sbaragliare l’ansia e la paura, non fidiamoci di chiunque e chicchessia (social, internet, opinionisti TV e quaquaraquà), ascoltiamo chi la guerra la combatte tutti i giorni e conosce questi nemici; medici di famiglia, pediatri, specialisti sapranno come e dove aiutarci a cercare le soluzioni, come fanno da sempre.
Un contributo del neuropsichiatra infantile